Testi critici & articoli

Monica Leonardo. Creare altro superfluo
di Seba Pezzani

Non nascondo che, quando Monica Leonardo mi chiese di scrivere qualche parola su di lei, inizialmente avvertii qualche perplessità. Non sono un critico d’arte e mi è capitato in più di un’occasione di leggere presentazioni scritte da punti di riferimento critici e di non capirci la classica acca. Ma Monica ha una naturale simpatia e un entusiasmo contagioso e dirle di no mi sarebbe parso delittuoso.

Conosco Monica da anni. La incrociavo di quando in quando in locali di frequentazione comune nella nostra cittadina emiliana, Fidenza, senza nemmeno sapere come si chiamasse e, comunque, completamente all’oscuro dei suoi slanci artistici. Fu in quel periodo che, facendo spesso visita a un amico editore, passavo inevitabilmente davanti a un quadro di notevoli dimensioni, realizzato con una tecnica mista che faceva uso di vecchi ritagli di giornale e, forse, cartapesta. Non ne sono certo: come dicevo, non sono un esperto. Ma la bellezza sa sempre farsi apprezzare: ha un suo modo naturale di affiorare o, forse, sono i nostri occhi e il nostro cuore a essere stati concepiti per saperla cogliere immancabilmente. Dunque, transitando davanti a quel grosso quadro, se non ricordo male un ritratto di donna su uno sfondo rosso fuoco, ogni volta avevo la sensazione di trovarmi di fronte a qualcosa di “importante”. Finché, un giorno, l’amico editore mi vide concentrarmi sul quadro più che sulle sue parole e, forse stizzito dal fatto che io preferissi la forza dell’arte al suo eloquio, mi disse che quel dipinto era di una nostra concittadina: Monica Leonardo. Probabilmente, notò la mia perplessità, dato che il nome non mi disse nulla e, in men che non si dica, trovò da qualche parte una foto dell’artista. “Ah! Ma questa la conosco!” credo sia stata la mia reazione.

Con il passare degli anni, Monica l’ho conosciuta meglio e di lei ho sempre colto due cose sopra ogni altra: entusiasmo e stupore. Senza cercare di filosofeggiare, mi verrebbe da dire che il sorriso e l’interesse per la vita, quasi sinonimi dei due termini precedenti, siano il corredo imprescindibile di chi decide di sversare le proprie emozioni nella fiumara dell’arte. Eppure c’è chi il sorriso non lo indossa mai e sceglie come indumento per tutte le stagioni una maschera di dolore. Non Monica. Anche se sono certo che, come qualsiasi altro essere umano, abbia i suoi momenti, viva le sue sofferenze e, talvolta, le esprima nei suoi quadri. Però non temo di dire un’eresia se azzardo che anche nel dolore si può sorridere per una piccola/grande gioia. E quest’alternanza e/o sovrapposizione fa grande l’arte. Questa scala di grigi che indugiano sotto la superficie dei colori più accesi rende più credibile ciò che Monica fa, indipendentemente dal periodo in cui realizza un’opera e dalla scelta della tecnica o del soggetto.

Oggi Monica ha scelto di svegliarsi al mattino con il lontano rumore della risacca e di addormentarsi la sera – sempre che non decida di stare in piedi per tutta la notte e dare sfogo a un istinto creativo – con il fruscio della brezza marina sulle persiane. Come darle torto. Il suo appartamento/atelier/laboratorio è un’opera in corso. E acqua e mare, come detto all’inizio, sono più di una metafora della vita che da lì viene.

C’è un flusso, un flusso comune, anche per una persona che non sia dentro le segrete stanze delle arti figurative, come il sottoscritto. C’è una comune predisposizione alla bellezza come pure un vago senso di disagio che pervade l’espressione di una creatività. È un flusso costante, una sorta di torrente inquieto che attraversa il percorso artistico di Monica. Tutto scorre come l’acqua, come il mare che una collina boscosa separa dal balcone del suo studio, perché in quello specchio azzurro sempre uguale e sempre diverso e in quei verdi cangianti e liquidi c’è tanto del suo afflato poetico.

Nella storia dell’umanità, ci sono delle eroine che sopravvivono grazie alla loro voglia di libertà e di esprimere la libertà per amore di sé e della società che le circonda e dell’umanità, come filosofia del fare e del creare.

Un flusso, si diceva. Un flusso di emozioni e di parole. Natura e poesia, dichiaratamente, sono un binomio inscindibile che accompagna Monica nel suo percorso creativo fin dagli esordi. La scelta del cambio di residenza, con l’individuazione dell’appartamento “perfetto”, immerso nel verde e a due passi dal mare, lo testimonia. E l’idea stessa di associare opere pittoriche a haiku, piccoli componimenti poetici carichi di una saggezza che ormai trascende quella dei vecchi maestri giapponesi, ce ne dà la conferma. D’altro canto, per chi come me fa musica e scrive, ogni forma espressiva ha un suono e una bellezza estetica. Una sinfonia o una canzone, ovviamente, di quel suono sono le prime portatrici, ma la bellezza che hanno in sé è quasi visibile, non solo percepibile. La stessa cosa vale per un dipinto: il suo aspetto estetico, il primo a essere colto, non può non sottendere una musica, un impulso lirico. Da profano delle arti figurative ma pure da appassionato creatore e fruitore di arte in senso ampio, di fronte a un quadro di Monica Leonardo vengo travolto da sbigottimento e incredulità che la sua melodia intrinseca trasforma in un’esperienza quasi trascendente.

Sfrontatezza, astrazione, scissione, caos più o meno controllato, simulazione, verità: sono tutti termini che rientrano nella “cassetta degli attrezzi” di Monica, ma che, nel complesso, non bastano a illustrarne la forza sognante. Perché Monica non ha problemi ad ammettere che il superfluo è il suo forte. In fondo, la vita è vivibile proprio grazie al superfluo. È quella la bellezza che ci dovrebbe elevare sopra il mondo della natura, senza mai farci dimenticare che ne facciamo parte a pieno titolo.

“Bagliori”, “Il diario della ragazza di King Kong”, “Notturni”, “Mutazioni e prime metamorfosi”, “Gusci e scatole” segnano alcune delle tappe del processo di crescita e mutazione dell’artista. Ma, a differenza di molti altri, Monica Leonardo mi è sempre parsa un’artista compiuta: più che maturazione io lo definirei passaggio. I cambiamenti stilistici, la scelta dei soggetti e delle tecniche pittoriche, la preferenza per certe tonalità sono evidenti, ma a percorrere ogni fase di tale sviluppo è un tocco personale, riconoscibilissimo. C’è pure stata una lunga pausa di riflessione, uno iato artistico che, per nostra fortuna, pare si sia meravigliosamente interrotto.

Perché “questa è una storia d’amore”, come ci annuncia la stessa Monica accogliendoci nel suo sito Internet. E la sua storia d’amore è un viaggio. Un passaggio, appunto. C’è tanto bisogno di grandi storie d’amore in questo mondo. Spesso, per poterne godere, bisogna fare i viandanti.

6 giugno 2023

«Leona»: cuore, passione e talento. «L’arte? Una promessa di felicità»
di Angelica Siclari

«L’arte è una promessa di felicità». Parola di Monica Leonardo. Ed è proprio quella che si respira e si vede quando si entra nel laboratorio/studio in viale Matteotti dell’artista salsese. La visita al laboratorio offre molto di più: è un’esperienza immersiva fra dipinti dei formati più disparati, volti, ibridi fra uomo e animale, diari, opere plastiche in carta, legno, poliuretano e rete metallica chiamate «scatole», lavori in corso. Ma anche pennelli, matite, tavolozze trascendono la propria natura di attrezzi del mestiere facendosi arte.
Monica Leonardo, in arte Leona, è reduce dal successo della mostra «Bagliori», ospitata dalla Galleria Celestina di Fidenza in collaborazione con l’associazione culturale Jamais Vu, e dall’apertura al pubblico del suo laboratorio. Dopo 10 anni è tornata ad esporre ma in tutto questo tempo ha sempre proseguito la sua ricerca artistica.
«Dopo il diploma di Disegnatrice e stilista di moda ho avuto alcune esperienze nel campo della moda per poi passare allo studio di Gabriele Calzetti, dove ho lavorato nell’ambito della decorazione e nel restauro d’affresco – racconta –. Lì ho iniziato a dipingere, spinta dal desiderio di sperimentare tra i colori a olio e fusaggine, bitume, pastelli, malte di gesso, su pannelli di legno, carte e tele di juta, attraverso diversi passaggi dipingendo e levando il colore per dare trasparenza alla figura».
Poi tante altre esperienze artistiche, e adesso il ritorno in pubblico. «In questi ultimi 10 anni ho lavorato come operatrice sociosanitaria nel domiciliare, ho vissuto tante esperienze, il contatto con la gente proseguendo comunque il mio percorso artistico in privato. Ho riscoperto la natura che mi ha “aperto gli occhi” e ho deciso di riportare in pubblico le mie opere: ho acquistato una rinnovata sicurezza e ho capito che questa è la mia strada. Ero introversa, chiusa, adesso invece sono un’altra persona, ho fiducia in me stessa: in questi 10 anni ho imparato che fare del bene da’ senso alla mia vita e allora, mi sono detta, posso fare del bene anche attraverso le mie opere. Mi sento sempre più libera, ringrazio il mio lavoro, quello che mi ha dato e fatto conoscere».
«Per me sempre di più l’arte è una promessa di felicità. Ora la vivo come davanti a una cascata, rinasco, ogni cosa che vedo mi offre visioni interpretazioni nuove. Quando dipingo vorrei che la natura portasse beneficio alle persone che ritraggo. La mia è una necessità, un’avventura e una gioia inattesa», conclude Leona.

Gazzetta di Parma, 7 novembre 2022

Natura, uomo e colori dell’inquietudine
di Stefania Provinciali

Il diario della ragazza di King Kong, titolo emblematico per la mostra di Monica Leonardo, visibile alla Galleria Il Sipario di strada Cairoli, fino al 14 giugno. Titolo che racchiude sogni, passioni, scontri con la realtà come compete ad un diario scritto. In questo racconto per immagini sono due gli aspetti che emergono prorompenti, le scelte figurative e le scelte interiori, quelle che accompagnano la vita, con la vita si misurano e si aprono mettendo a nudo la parte più intima. Nella mostra, a cura di Roberto Bertorelli, con contributo critico di Marco Mirabile, c’è il percorso artistico degli ultimi anni che ha condotto Monica Leonardo verso una figurazione essenziale ma complessa nei significati, volta a cogliere aspetti precisi di un’azione o di un sentimento.
Il suo vivace inappagato interesse per il linguaggio pittorico l’ha poi indirizzata verso tecniche sperimentali legate all’utilizzo di legno, juta e carte; colori a olio, acrilici, grafite, fusaggine, bitume, pastelli, gesso, intonaco e quant’altro necessario per dare spessore all’immagine, renderla tattile e impregnata di colore, mai forte o squillante ma di sostanza.
I colori sono i colori dei sentimenti, delle sensazioni, delle esperienze nei rapporti fra essere umano e natura, fino a delineare, nelle forme e nelle combinazioni di materia e cose, tutte le inquietudini dell’essere. Un essere umano che si perde e si confonde con l’essere animale nella commistione di diverse; un essere umano che porta in sé il senso dell’altro come momento di forza, così in Ragazze che attraversano il fiume di notte, immagine dagli sfumati contorni dove il buio della notte si perde nella mano amica.
I soggetti sono spesso ricavati da circostanze autobiografiche, letture, esperienze di viaggio, perché per Monica un viaggio non è solo un tragitto, è anche osservazione, meditazione, espressi in un attraversamento di linguaggi che passano dal concettuale al figurativo in base al racconto. Dentro c’è il solleticante emergere dell’essere umano che si con la natura negli arti d’albero o nelle fattezze di un volto animale, non una maschera ma un perdersi fin là dove i mostri come King Kong si fanno piccoli e la giovane ragazza si trasforma in un ideale grattacielo coperto da un prato. Tra questi corpi in mutazione, dove l’ibrido diventa espressione di un contatto inevitabile con l’altro essere vivente, con l’animale piccolo o grande che sia, emerge il diario dei sentimenti che vanno dall’infanzia al ricordo di un’immagine, di un’emozione, toccando gli aspetti autentici della vita e dove la natura vegetale o animale che sia, ha un posto ben preciso, dai richiami ancestrali. Monica Leonardo, nata a Fidenza nel 1971, ha iniziato la sua attività lavorativa nel mondo della moda e del restauro. Dal 2000 il suo interesse per il linguaggio pittorico l’ha indirizzata verso le arti figurative con mostre personali e collettive.

Gazzetta di Parma, maggio 2011

Gli artisti: Monica Leonardo
di Luigi Franchi

Stilista prima, decoratrice poi. Ora semplicemente artista. Cosa abbia portato Monica Leonardo ad intraprendere questo percorso non è dato sapere, ma che sia un’artista a pieno titolo, rigorosa, disciplinata ed entusiasta di ciò che fa lo dimostrano le sue opere, le persone che le apprezzano e che la ammirano, il suo modo disinibito di usare i materiali. Conosciuta tre anni fa quando un amico mi mise in mano un catalogo con dipinti di rara bellezza, volti composti con una molteplicità di segni, parole, materiali come la carta, la tela, la fusaggine, l’ho seguita sul suo sito e l’ho rivista di recente per chiederle di poter utilizzare uno dei suoi dipinti per la copertina della rivista Liberi Librai ed ho scoperto un modo completamente diverso di dipingere: figure ibride, fatte di pochi segni e altrettanto poco colore, corpi umani con volti e arti di animali, dove l’ironia è palese. Ma dietro all’ironia ci sta in realtà una visione molto precisa dell’uomo e degli animali, questi ultimi “coerenti. E poi adesso sono sicura di quello che faccio, non ho bisogno di mascherarmi dietro alla perfezione di un volto femminile per mostrare la bellezza. Adesso sto levando, poco a poco tolgo ogni orpello, ogni eccesso. Adesso per me la bellezza è il fiume e la natura intorno, la notte sul fiume e gli animali che aspettano l’oscurità per andare a dissetarsi. La bellezza è raccogliere la legna secca per il fuoco, sedersi sul sasso e con la luce che scalda leggere i poeti”. Si racconta così Monica, attraverso gli scenari della natura, descrivendo l’oscurità come habitat affascinante, parlando dei suoi progetti futuri che la porteranno a collocare queste figure ibride in paesaggi preraffaelliti. “Adesso ho di nuovo molta voglia di dipingere” afferma. Può stupire una simile dichiarazione sulla bocca di una persona che ha scelto l’arte per vivere, che attorno ad essa costruisce ogni pensiero, ogni azione quotidiana, forse anche ogni relazione. Ma dietro a quelle parole c’è un intero universo artistico che esce poco alla volta nel corso della conversazione, come quando mi mostra i suoi lavori di video arte in cui “mi piace rallentare íl tempo.” Sono straordinari! “Voglio usare ogni mezzo che mi affascina per esprimermi ed ora è di nuovo la pittura, perché mi sento finalmente libera con i materiali. Quello che sento importante per me è la disciplina e il sentire, solo così riesco ad andare oltre. Che, per me, è l’essenza stessa dell’arte. In essa trovo tutto. Solo la natura mi potrebbe dare di più”.

Monica mi svela il suo desiderio più grande, quello di trovare un posto grande, in mezzo alla natura, dove collocare il suo studio; “nello studio c’è il rifugio” afferma “la grotta in cui sviluppare tutta la mia energia”. A contatto con la natura, dove magari coniugare il suo percorso artistico con il lavoro della campagna. Le sue parole si trasformano in grande ammirazione per i contadini, per i pastori, raccontano di una vita in cui “scopri nei momenti più duri quando sai cosa fare esattamente di te e della tua esistenza”, poi ritorna all’arte, alla moltitudine di progetti che affollano i suoi pensieri. “Ogni idea la scrivo, anche semplici appunti che poi metto nelle buste e nelle scatole da scarpe, Torneranno fuori quando verrà il momento giusto per realizzarli”. Nel vedere le scatole scopro una nuova parte del suo essere artista. Quella parte si chiama Leona, il nome che lei ha scelto per i suoi diari artistici. Piccoli quaderni di cui è rimasta in verità solo la copertina che, a fatica, racchiude fogli dipinti, ritagli di giornali, pezzi di cartoline, veline su cui Leona scrive, segna, dipinge, fotografa, racconta. Come quello del suo recente viaggio in Francia: un quadernetto diventato un diario artistico che, chiuso, ha la forma di un piccolo cubo sfrangiato, pieno, pienissimo di cose. In copertina la sua firma, Leona, la data e un piccolo codice, “come quelli che assegnano ai carcerati”, mi dice senza andare oltre. “Devo documentare e raccogliere. Per me è un bisogno primario, come la poesia. Che leggo ma non scrivo. Leggere la poesia mi pulisce la testa”. Si torna ancora lì, al bisogno di levare, di cercare un modo diverso per “fare bene e per migliorarmi, sempre”. Disciplinata! Adesso capisco perché è cominciata con questa parola la nostra ininterrotta conversazione in un profumato tardo pomeriggio d’estate, nel suo studio alle porte di Salsomaggiore Terme.

Terre Verdiane, 2011

Tra sguardi e materia
di Silvia Magistrali

I quadri di Monica suggeriscono un percorso trasversale attraverso lo sguardo, o meglio attraverso un continuo eco di sguardi volti ad interrogare l’osservatore per poi ritrarsi in sé stessi. Il volto femminile diviene protagonista indiscusso, portavoce di un “altrove” solo parzialmente rivelato. Il taglio delle immagini, che rimanda alla passata esperienza dell’autrice in campo fotografico, si concentra sul viso per lasciare spazio ad alcune esili frazioni di corpo scorciate dall’alto: la luce diviene protagonista lasciando emergere la figura dallo strato materico. Il chiaroscuro si delinea attraverso un sottile digradare del bianco e nero, infranto talvolta da bagliori rossastri, che paiono rivelare una presenza corporea fisicamente presente, a tratti lacerata. La figura trova forma attraverso lo stratificarsi di materiali diversi: iuta, carta, intonaco e colore costruiscono l’immagine integrandosi, ma avviando, nel contempo, un lento processo di disgregazione. Si crea una sorta dì equilibrio instabile tra l’essere ed il suo annullarsi nello sfondo. Se l’immagine si concretizza nelle alterazioni visibili della materia ed assume una durata, nel contempo la visione appare momentanea, rivelando una memoria intessuta di esperienze stratificate. Il segno traccia i contorni del volto definendone con precisione e realismo i dettagli, ma la nitidezza dell’immagine è cancellata da graffiature, spruzzi di colore. Da un lato l’abito si annulla, diviene inconsistente, quasi Monica volesse negare la sua formazione come disegnatrice di moda, dall’altro la sovrapposizione di strati materici pare voler annullare la bidimensionalità dell’immagine, il taglio fotografico. Mentre il volto emerge quasi concretizzandosi in una nuova dimensione, il corpo si rimpicciolisce, sfumando in macchia o traccia di contorno. Da un tipo di rappresentazione frontale del viso, contraddistinta dalla fissità dei lineamenti e dello sguardo, la figura sembra progressivamente prendere coscienza dello spazio, articolandosi in esso più liberamente. Il sistema di riferimento si amplia: attraverso un uso della materia che può rimandare alle superfici di Anselm Kiefer, questi ritratti, venati talora di suggestioni klimtiane, diventano emblematiche rappresentazioni della ricerca di una propria interiorizzata identità. Trapela una sensualità interpretata al femminile, concentrata nei tratti del viso, nello sguardo, che fa emergere la figura dal fondo, o meglio, da “un” fondo a noi ignoto. Le parole, tratte da articoli di giornale, che affiorano talora dallo spazio pittorico – “ritrova te stessa”, “la memoria del presente”, “essere” – favoriscono l’innestarsi di un processo di coinvolgimento interiore da parte di un pubblico che, di fronte ai quadri di Monica, difficilmente rimane spettatore passivo.

Il caffè del teatro, 2003

I volti di Monica
di Alberto Mattia Martini

L’utilizzo della pittura come efficace strumento di analisi per sondare la profondità psicologica delle persone, il ritratto come espressione intima dell’anima, ma anche della vita, molto spesso territorio arduo ed enigmatico. Un rapporto profondo tra gli occhi del volto e quelli dello spirito, tra malinconia e raggiante emozione, per essere oggetto e soggetto di turbamento, di riflessione, d’innocente bellezza e seduttiva tentazione (…). I volti sono impassibili ma vivi e illuminati di luce della memoria, i visi aperti, gli sguardi pensosi e preoccupati di elucubrare nuove concezioni mentali. Sono ritratti che si compongono di un’intensa condensazione materica, generatrice e animazione di involucri luminosi; la sabbia, la carta, il colore e i ritagli di giornale vivono di una loro autonomia e nel medesimo istante vibrano di un’unione elegantemente inquieta. Le forme, scandite dal mistero dei sensi e dai sogni, liberano atmosfere chiaroscurali, come in una sfida cromatica tra il bianco ed il nero. Nei volti, che vivono e ricercano la loro origine, il tratto dei lineamenti è deciso ed intenso, anche se essi raggiungono la più intima comunicazione penetrando nella materia dalla quale sono attorniati. La Leonardo riesce quindi a far emergere la sua sensitiva potenzialità artistica, sa giocare sul fascino dei materiali e del chiaroscuro non in modo insulso ma attraverso un’atmosfera misteriosa e dissolvente, esente da ogni eccesso sa affrontare al meglio la sua realtà.
La pittrice parmigiana sembra trovare nell’introspezione personale il culto per la forma e per il segno, che diventano suono ed evocano lo sfogo liberatorio dell’immaginazione. Accogliendo senza riserve la propria sensibilità artistica e lasciandosi da essa guidare, non sacrifica la purezza del valore cromatico del bianco e nero. Monica riesce ad orientarsi soprattutto in direzioni di misteriosi dialoghi visivi, uditivi, tattili e verso la necessità di comunicare attimi di vita, lasciando uno spiraglio aperto all’inconscio.

Gazzetta di Parma, aprile 2003

Le donne di Monica Leonardo
di Stefania Provinciali

Operazione non facile quella sperimentata da Monica Leonardo, che già l’aveva posta all’attenzione con la tela grezza e col colore, una storia femminile di forte verità, di donne tutte uguali, di una bellezza eterea, straniante che guarda più alla pienezza interiore; di donne con i loro dubbi, le loro incertezze, ma sempre toccate da sfumature di esistenza impresse nei volti e nelle carni, e dunque destinate a suscitare emozioni forti e non solo il piacere di una visione. La mostra, dal titolo “Identità sospese”, indica un approfondimento di percorso da parte dell’autrice, negli atteggiamenti proposti, nelle scelte formali, nella combinazione dei colori dove ciascuno ha un proprio significato. Sono colori precisi, ripetitivi che variano dai bianchi e dai neri, ai rossi al marrone della terra, al colore della carne. Attraverso un’attenta operazione compositiva danno vita a storie diverse che alla fine paiono sommarsi in un’unica certezza, il desiderio dell’autrice di guardarsi allo specchio e cogliere i segreti dell’io e della vita, o per lo meno di quanti di questi segreti possono avere una risposta. L’operazione artistica, in piena formazione evidenzia le potenzialità della Leonardo, sia nel percorso creativo sia nella scelta della tecnica dove si combinano gli effetti visivi dettati dall’attenzione alle forme espresse in un’attenta e moderna figurazione e dalla stessa tela grezza spesso utilizzata per dare spessore ed una sorta di “nudità” alle immagini. In questa complessità d’intenti l’artista mostra la propria voglia di fare che, unita ai mezzi espressivi, può guidarla verso risultati sempre più interessanti.

Gazzetta di Parma, aprile 2002

Anime in corso
Giovanna Bragadini

Vagano tra Gaughin e suggestioni etniche, toccano Klimt e Schiele, cercano nella pittura contemporanea ma infine perdono i riferimenti, questi volti dagli occhi grandi come uniche certezze sulle carni maltrattate dalla tela e dal colore. Sono anime sensuali e spirituali insieme, senza pudore chiedono ispirazioni o risposte mai svelando a chi è rivolto lo sguardo. Chiedono attenzione le donne che Monica ritrae per rappresentare, alla fine, sé stessa come in tanti specchi riflessa, regalandosi altre vite. E attraverso altre vite cerca il mistero della propria, insegue una sensualità desiderata imprimendo sui corpi e nei volti sfumature di esistenza, donando agli occhi fede e pace interiore.
Il rosso il bianco il nero. Rosso, l’energia e la passione. Nero, la profondità dell’anima. Bianco, illumina e purifica. Nero e rosso fusi nel marrone trovano equilibrio. Terra e cielo, marrone e bianco: dualità di compenetrazione e conflitto. Il pennello ricerca la pulizia del segno rifiutando il disegno, ottenendo immagini al limite del fotografico e creando sfumature “sporche” che diventano pulite nell’espressività. Sempre, la tela viene snaturata, poi accarezzata e restituita a sé stessa, in un gioco in cui l’oggetto amato viene distrutto e ricreato ancora.

Brochure mostra “Anime in corso”, 2001

Condividi? Scegli dove...